L’opera dell’allestitore

La radice etimologica del verbo “allestire” (XVI Sec. derivazione di “lest”) ci ricorda che il significato originario del concetto di allestimento era fondamentalmente quello di “preparare velocemente” o, se vogliamo, anche quello di costruire in maniera provvisoria.
Inizialmente si riferiva solo alla preparazione di feste pubbliche o private; poi si diffuse nelle Fiere, dove l’allestimento aveva lo scopo do valorizzare l’aspetto dei prodotti esposti o comunque di presentarli al meglio rispetto ai vicini concorrenti.

Inizialmente, i realizzatori di questi allestimenti erano artigiani, normalmente dediti ad altri compiti, che per l’occasione e sotto la direzione del committente si occupavano della preparazione veloce di queste “architetture” provvisorie.
Non esisteva una comunicazione né un design; ci si limitava a creare una cornice ai prodotti.
Fu dopo gli anni ’30 che in Italia, ma anche nel resto del mondo, l’allestimento diventò uno dei principali spazi creativi del pensiero architettonico razionalista, che ebbe proprio in questo ambito l‘occasione di sperimentare e di confrontarsi con una progettazione non più teorica, bensì reale, con tutte le sue implicazioni sociali ed ideologiche.
La competizione in quegli anni crebbe e cominciarono ad emergere allestimenti sempre più carichi di un proprio significato espressivo.
Si cominciò a comprendere che il “codice mediale” risultava determinante per il prodotto stesso.
Nacquero proprio allora le prime vere aziende di allestimento; non più gli artigiani che occasionalmente si occupavano dell’allestimenti fieristici, ma veri professionisti specialisti in materia, i quali mettevano a punto metodologie, prodotti e materiali specifici per ottimizzare tempi e risultati.
L’allestitore, quindi il realizzatore, divenne il collaboratore del progettista ed il detentore quasi esclusivo della “ingegnerizzazione” del progetto, diversamente dalla maggioranza degli artigiani, legati alla tradizione del proprio mestiere.
Le prime vere aziende di allestimento nacquero negli anni ’30, ’40 e ’50, provenienti dalla pubblicità stradale, come pure dalla carpenteria in legno o dalla scenografia teatrale.

Ben presto, gli stands ed i padiglioni fieristici aumentarono dal punto di vista quantitativo e qualitativo, raggiungendo complessità tecnologiche sempre più avanzate, portando le aziende allestitrici ad ingrandirsi e soprattutto ad acquistare competenze e conoscenze interdisciplinari, uscendo definitavene dall’impostazione artigianale.
Durante gli anni ’70 le manifestazioni si moltiplicarono ed emersero quelle aziende in cui il titolare aveva saputo sommare alla indispensabile capacità di gestire l’azienda, le conoscenze tecnologiche, la cultura architettonica e l’amore per “le cose ben fatte” (come dice Charles Peguy)

Fu l’inizio di una ulteriore rapida evoluzione della figura dell’allestitore, che arriva ai giorni nostri, in cui egli diventa partner indispensabile per l’ideatore del concept, un partner non solo per la creazione del manufatto, ma per lo sviluppo dell’immagine stessa dell’azienda espositrice, la sintesi di una serie di professionalità che abbracciano design, ingegneria, comunicazione visiva, illuminotecnica, logistica, progettazione e responsabilità ambientale

Se nella sostanza il progettista sviluppa un progetto “formale”, l’allestitore lo ingegnerizza per la produzione, la gestione logistica, la gestione del tempo e per tutti gli aspetti legati al progetto.
Questo lavoro non è meno importante della progettazione formale, perché rende fattibile quello che spesso, nella sua fase “formale” non lo è.
L’allestitore è il principale protagonista di uno straordinario laboratorio sperimentale; è colui che attraverso la sua professionalità, intesa come profonda conoscenza dei materiali, delle differenti tecnologie, dei processi produttivi e dell’organizzazione della filiera, riesce a far “vivere” in quanto realmente esistente, un modello al vero studiato ed ingegnerizzato nei vari dettagli, immediatamente verificabile, alterabile nei suoi aspetti tecnici, su cui ci si può muovere “abitandolo”.
E’ anche colui che, antropologicamente riesce ad interpretare e realizzare al meglio i progetti estrinsecati su carta dagli autori.
Cosicché si sviluppa sovente un profondo sodalizio con i progettisti, che si esaurisce quando l’opera di architettura temporanea avrà raggiunto una sua concretizzazione.
La modellazione dello spazio e l’uso dei materiali assumono un valore narrativo ed espresso e trovano nell’allestitore il loro creatore.

Testo di Giampiero Bosoni